Tra Sparta e Atene

Temevo il conflitto, la parola mi riportava subito all’esame di storia greca e a Sparta e Atene che se la davano di santa ragione. Più che ai conflitti preferivo credere ai miracoli, come i Ramones. I miracoli erano gli atteggiamenti e i comportamenti irritanti delle persone che cambiavano, senza che io dicessi nulla.
Pensavo bastasse mostrare un po’ più di freddezza per mandare un segnale chiaro rispetto a ciò che mi aspettavo che gli altri facessero. Ma le persone non erano così brave a cogliere i miei segnali. Eppure io ero chiara.
Quindi ho iniziato a studiarli i conflitti e ad affrontarli.

Ho scoperto che parte sempre da noi, da ciò di cui abbiamo bisogno:

Quella critica verso il collega “cinico” nasconde il nostro bisogno di essere coinvolti in un’attività, di essere valorizzati. Possiamo semplicemente chiederglielo. Possiamo trasformare l’irritazione in una richiesta che cambia la prospettiva sul mondo e crea connessione.

Ma è più semplice chiederci che cosa non funziona negli altri, anziché chiederci di che cosa abbiamo bisogno noi. Questo è un passaggio di svolta, ma difficile.

Perché parlare di bisogni è difficile, il bisogno rende deboli.
Parlare di bisogni significa parlare di necessità, di vuoti da riempire e noi amiamo essere pieni e perfetti, anche se affermiamo il contrario.
È la strada che crea connessione.
E non ci sarà mai connessione se noi per primi non tiriamo giù la maschera con un po’ di coraggio.